martedì 5 giugno 2012

Quo vadis (Sass dla Crusc): intervista a Nicola Tondini


Tre mesi, 13 tiri di corda...Nicola Tondini e Ingo Irsara hanno compiuto così la loro impresa sulla spettacolare parete ovest del Sass dla Crusc (Dolomiti). Era l'estate del 2010. Dopo un anno, tra settembre e ottobre 2011, hanno liberato la via. Il suo nome è Quo Vadis. 


Cosa rappresenta per te Quo vadis?

Direi che rappresenta tanto, sotto molti aspetti. È la via in cui ho portato al limite tutte le mie esperienze di apertura di vie nuove.
È una via che per le difficoltà potrebbe posizionarsi tra quelle “sportive” di alta difficoltà. Con “sportive”, intendo vie con protezioni distanti che obbligano all’arrampicata libera, ma super sicure. Quo Vadis ha le alte difficoltà, ma gli manca la connotazione “sportiva”: le protezioni sono distanti e richiedono molti passi obbligatori (o riesci a passare arrampicando e si fallisce), ma sono per più del 90% tradizionali. Le protezioni (friends e chiodi) sono state posizionate utilizzando le fessure naturali delle roccia. Ci sono solo due sezioni ben protette: una di 10m sul 10° tiro e una di 7m sull’ultimo. Questo richiede, quindi, una preparazione alpinistica notevole.
È una linea superba. Quando si guarda la parete del Sass dla Crusc, lo sguardo cade sul grande tetto a 7, situato nella parte bassa delle parete, e sulle rigole nere che vanno a morire sulle numerose pance gialle della parte alta. L’alpinista, sposta poi quello sguardo alla ricerca di qualcosa di meno repulsivo. Ma quella linea gli rimane impressa in testa. Così è stato per me e Ingo. È da tantissimi anni che la vedevamo, ed è un sogno ora essere riusciti a percorrerla. 

Perché avete seguito uno stile di apertura così “severo”, come lo hai definito tu stesso?

Lo stile si deve adattare alla parete su cui ti trovi. Sul Sass dla Crusc corrono vie aperte da fortissimi alpinisti, che hanno lasciato un grosso segno. La nostra via non poteva che seguire questa tradizione. Dovevano salirla in apertura assolutamente in arrampicata libera e utilizzando il più possibile quello che offriva al roccia per proteggersi. L’utilizzo dei tasselli messi con il trapano è stato limitato al minino. Di tratti ben protetti, che si possono definire “sportivi”, non ci sono che una quindicina di metri. Inoltre volevo vedere se riuscivamo ad abbinare le alte difficoltà delle vie aperte sul Monte Cimo in Val d’adige, con le protezioni tradizionali, tipiche delle Dolomiti.

Quo vadis è la terza via che hai aperto su questa parete. Perché questo legame con il Sass dla Crusc?

È una parete che mi piace tantissimo. Lo zoccolo di 300m, che la tiene lontano dalle grandi folle, la rende ancor più selvaggia e attraente. È poi impagabile la bellezza del sole che tramonta all’orizzonte, investendo tutta la parete di rosso. Davanti non c’è niente: solo i prati e boschi della val badia. È un balcone con vista sulle Dolomiti e sulle montagne innevate a confine con l’Austria. Nelle innumerevoli giornate passate su questa parete ho potuto godere dei colori di tutte le stagioni e imprimere nei miei ricordi moltissimi panorami.

Ci sono ancora linee inesplorate che ti piacerebbe salire su questa parete?

Qualcosa sì. Ma per ora voglio dedicarmi ad altre due grandi pareti delle Dolomiti… ma so già che prima o poi tornerò ancora al Sass dla Crusc.

Con Ingo è la tua seconda esperienza nell’apertura di una via: quanto conta per te il compagno di cordata?

Il compagno di cordata è fondamentale, soprattutto quando si apre una via nuova di questa portata. Per una via così impegnativa su tutti gli aspetti, la tranquillità, l’entusiasmo e la dimestichezza di Ingo in questi luoghi sono state fondamentali. 

Qui di seguito le foto dell'apertura nel 2010:

E le foto della libera, nel 2011:

E per finire...: 

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